Viviamo in un’epoca in cui tutto deve essere smontato, riclassificato e ridefinito fino a svuotarlo del suo significato originario. Questo non è progresso: è un manicomio a cielo aperto.
Un manicomio non è tale perché popolato da “pazzi”, ma perché è un luogo dove le parole perdono ogni legame con la realtà, dove il senso comune viene deriso e sostituito da astrazioni sempre più vuote. Ecco come si manifesta:
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La Tirannia dell’Analogia Forzata.
Le piante sono “sociali”, gli algoritmi sono “neuroni”, il Pianeta è un “organismo”. Queste non sono scoperte, sono metafore elevate a verità scientifiche. Si prende un termine carico di significato umano (sociale, intelligente, cosciente) e lo si stira fino a fargli coprire qualsiasi fenomeno osservabile, annacquandone completamente l’essenza. È un gioco linguistico che crea confusione, non chiarezza. -
La Feticizzazione della Tecnica sul Senso.
Possiamo misurare le onde cerebrali di un verme, ma abbiamo dimenticato cosa sia la dignità di un uomo. Sappiamo come “ottimizzare” le relazioni umane con app di incontri, ma non sappiamo più cosa sia l’amore. Abbiamo sostituito il “perché” con il “come”, l’etica con l’efficienza, la profondità con la dati. La tecnica non è più uno strumento per l’uomo; è diventata la lente attraverso cui pretendiamo di definire l’uomo stesso. -
La Negazione dell’Evidenza.
In questo manicomio, l’unica eresia è affidarsi all’esperienza diretta. Se osi dire che un abbraccio non è la stessa cosa di un’emoji, sei retrogrado. Se sostieni che la società umana, con le sue leggi, la sua arte e la sua colpa, è qualitativamente diversa da un formicaio, sei accusato di “antropocentrismo”. Si nega la realtà più tangible—la differenza tra un uomo e una pietra, tra un sentimento e un algoritmo—in nome di un’astrazione intellettualistica che non nutre e non costruisce, ma solo disorienta. -
Il Paradosso della Connessione Solitaria.
Siamo iper-connessi e più isolati che mai. Comunichiamo costantemente e non ci capiamo più. Condividiamo tutto e non condividiamo nulla di vero. Questo è il sintomo più chiaro: abbiamo costruito una società tecnologicamente geniale e umanamente folle, dove si preferisce debattere sui diritti di un’IA piuttosto che guardare in volto il proprio vicino.
È la sostituzione del buon senso con il nonsenso accademico, della verità relazionale con l’astrazione sterile. È il trionfo di una classe intellettuale che, non avendo più nulla di significativo da dire, si diverte a sminuzzare le parole fino a renderle polvere.
Riappropriarsi del significato delle parole—di cosa sia davvero una società, un legame, un essere animico—non è un esercizio da conservatori. È l’unico atto rivoluzionario che ci resta per non perdere del tutto la testa in un mondo che ha deciso di rinunciarvi.
In conclusione… Viviamo in un manicomio a cielo aperto ed è giunta lora di fare un reset, per il bene dell’umanità.